Dischi

DischiLa selezione dei brani musicali da includere in una scaletta da trasmettere non può essere casuale. Non dovrebbe esserlo. E’ invece frutto di uno stato d’animo che si vuole esprimere e la sequenza diventa un percorso, una trasformazione dell’umore, la comunicazione di un modo di sentirsi in quel momento che solo la musica riesce, per empatia universale, a trasmettere.

La ricerca delle musiche nei corridoi tappezzati di dischi è opera certosina, quasi da topo di biblioteca; e poi l’ascolto in cuffia per capire la giusta sequenza, i ritmi da mixare in consonanza o creando stacchi repentini per generare sorpresa. Mai lo stesso interprete per due brani di seguito a meno che non si tratti di sviluppare una monografia.

Durante la selezione e lontano dalla frenesia della trasmissione c’è il tempo per crogiolarsi nel rito dell’ascolto: accarezzo con lo sguardo la copertina del disco (rigorosamente LP) alla ricerca di particolari precedentemente sfuggiti e che possono diventare lo spunto per un commento; poi estraggo con un fruscio il disco ancora avvolto nella sotto-copertina di carta più sottile, spesso ulteriore fonte di notizie: interpreti, luoghi di registrazione, testi delle canzoni, ospiti e tutto il colorito mondo che ruota attorno alla realizzazione di un’opera musicale.

Passo quindi ad osservare il disco nero, con la parte centrale colorata da una micro-etichetta rotonda che vorrebbe suggerire altre cose oltre ai titoli in sequenza; e poi il microsolco lucente che promette meraviglie d’ascolto. Poso il disco lentamente sul piatto fermo indovinando con mano sicura il perno da introdurre nel foro. Il braccio del giradischi è pronto per essere manovrato e la puntina cala adagio nel solco selezionato e nelle cuffie mi arriva un suono ovattato e secco: il rumore del silenzio che precede la musica, un momento da vivere con trepidazione ad occhi chiusi e volume coinvolgente, come se chi suona lo facesse solo per me in quel momento e non volessi perdere neanche un particolare dell’esecuzione.

Io sono solito scegliere brani di facile ascolto per iniziare la trasmissione; un modo per mettere a proprio agio chi ascolta con musiche familiari, orecchiabili, di facile comprensione perché ormai ascoltate più volte; in questi casi si ascolta più il ricordo della musica nella propria memoria di quella effettivamente trasmessa.

Dopo due o tre musiche di introduzione passo al tema che mi piace sviluppare introducendo quindi vecchi blues, rock di altri tempi, musica progressive, jazz, fusion o bizzarri brani di “musica leggera” come si soleva dire una volta. Ma non più di poche musiche per volta: l’attenzione cade, chi ascolta perde l’interesse che deve essere catturato in modo inaspettato da qualcosa di diverso. Ed ecco così la selezione di cover dal vivo quasi sconosciute e trovate rocambolescamente in rete per effetto di un momento di serendipità; alla infine la musica italiana d’autore per rilassare dopo un momento di ascolto che in alcuni casi può essere complesso.

Mancano i titoli di coda come nei film, ma il ricordo della musica riecheggia ancora nella testa e quando la musica finisce, quel silenzio accomuna per un istante le anime di chi ha ascoltato insieme.

Con le mani in pasta

Con le mani in pastaGiornata asciutta e ventilata, l’ideale per impastare. Soprattutto ho il tempo per farlo; non che impegni molto, ma quando si gioca con la pasta è meglio non avere distrazioni come telefoni suonanti o amici alla porta. Per impastare occorre la musica classica. Non chiedetemi perché ma l’esperienza mi dice che la pasta viene meglio con Mozart che con Zucchero.

Ho già tirato fuori dal frigorifero le 4 uova perché arrivino alla stessa temperatura della farina e preparo tutto l’armamentario per l’avvenimento: madia di legno, macchina per tirare la sfoglia, terrina per impastare, forchetta, bilancia, sale e…musica !

Quattro etti di farina per quattro uova (mi sembra il titolo di un vecchio film): verso la farina nella terrina e lascio un avvallamento nel centro per dare il benvenuto alle uova; le salo leggermente (mezzo cucchiaino) e con la forchetta inizio a sbattere le uova includendo a poco a poco la farina. In questa fase occorre affinare l’esperienza perché quando si pensa che l’impasto sia pronto per essere lavorato con le mani, si ha la sorpresa di impantanarsi senza speranza, alzando gli occhi alla disperata ricerca di qualcuno che ci liberi dal Blob appena creato.

Se la pazienza ci sorregge ancora per qualche momento, possiamo saggiare la consistenza dell’impasto usando una sola mano, in modo che se questo fosse troppo umido, con l’altra possiamo aggiungere farina in modo da riequilibrarlo. Alla fine, si può abbandonare la terrina per proseguire sulla madia opportunamente cosparsa di un velo di farina.

Ora inizia la fase in cui si coccola la pasta direttamente sulla madia, premendo con i polsi e, ottenuto un piccolo rotolo, lo si arrotola su se stesso cambiando il verso di lavorazione e ripetendo nuovamente l’operazione. Il calore delle mani aiuta gli ingredienti ad amalgamarsi e questo tocco umano, una macchina per impastare non lo darà mai. Si aggiunge farina poco per volta finché l’impasto tende ad attaccarsi alla madia o alle mani e al termine lo si lascia riposare sotto una stoffa di lino. Penso che questa cosa del riposo sia stata inventata apposta dai cuochi per fare una pausa dal lavoro, ma forse è solo una malignità.

Con un coltello taglio un pezzo di impasto che, dopo aver infarinato infilo tra i rulli della macchina, avendo selezionato l’ampiezza maggiore. Lo passo più volte e vedo che ora sta diventando un abbozzo di sfoglia; dopo un primo passaggio, infarino leggermente, la piego in due e ripeto l’operazione per due o tre volte. Ora diminuisco la distanza dei rulli e passo la sfoglia senza più ripiegarla, infarinandola quando occorre e facendo attenzione che scorra in modo lineare ottenendo una striscia di pasta più uniforme possibile.

Ripeto questa operazione fino al penultimo selettore di regolazione, poiché l’ultimo è destinato solo alle tagliatelle. Taglio le sfoglie della lunghezza desiderata e le passo attraverso lo strumento per il taglio della pasta. Quella che esce è una fragrante cascata di taglierini dalla consistenza ruvida al punto giusto e profumati di uovo, docili al tocco ma dotati di anima nobile.

Li dispongo sui vassoi già infarinati con gesti delicati come se si adagiassero dei neonati nel loro lettino, in modo che la pasta si asciughi in attesa della cottura. Ormai il lavoro è concluso e non rimane altro da fare che aspettare il momento in cui la pasta incontrerà il sugo. Ma questa è un’altra storia.

 

Attesa

Non lo stavo veramente fissando, ad essere sinceri era un tipo repellente ma, come forse succede in questi casi, l’occhio torna a guardare l’orrore che lo ha colpito come la lingua fa col dente dolorante e, ogni volta, scopre cose che non avrebbe mai voluto vedere. Scommetto che il mio occhio me lo ha fatto apposta a soffermarsi sulla canottiera bianca anzi, bianco-sporco; lui sa quanto le detesti e poi quella catena d’oro, si, non una catenina ma proprio una catena, di quelle che se cadi in acqua dove non tocchi sei spacciato.

La seduta stravaccata sulla sedia sicuramente non aiutava a fare buona impressione ma il tocco di classe era dato sicuramente dalla copia di Tuttosport stropicciata ed esibita come un predicatore fa con la propria bibbia. D’improvviso il “tipo” emette un suono e ammetto di aver impiegato un po’ troppo tempo a capire che si trattava di parole e ancor più nel tentativo di individuare un senso facendo affidamento alle lingue note; per fortuna il suo vicino di sedia ha emesso un suono simile e, pare, risolutivo perché il “tipo” ha annuito soddisfatto. Continua a leggere Attesa