Nel corso degli umani eventi

Quando, nel corso degli umani eventi, si rende necessario a una dispensa di rinnovarsi e assumere un aspetto più degno del proprio ruolo e assumere, tra le altre stanze della Casa, quel posto distinto ed eguale cui ha diritto per Legge naturale e divina, essa richiede che vengano prese importanti e ineluttabili decisioni.

Queste decisioni al fin prevedono che Qualcuno si sobbarchi oneri e fatiche per le quali Sisifo impallidirebbe fino al punto che, muscoli dei quali il Nostro Eroe neppure sospettava l’esistenza, riuniti in comitato, lo costringono a crollare esausto in poltrona. Siamo alla fine del primo giorno dei giochi, nei quali il Nobile, a cavallo della sua fidata scala, si scaglia con l’arma carica a sfidare a duello le mura ardite. Nuove cronache verranno narrate e le epiche gesta giammai saranno nascoste alle moltitudini.

Tram

Da I Diari del Monopattino Martedì 28 settembre 1960

Questa mattina sul tram il bigliettaio mi guarda con altri occhi e mi dice con aria solenne:

“Oggi sei diventato grande. Hai superato il metro di statura.”

Questo sottintendeva che avrei pagato il biglietto. Infatti ne stacca uno e me lo porge. Il mio primo biglietto. Mi rivolgo al nonno che provvede a pagare le 70 lire della corsa salutando il suo amico bigliettaio. Lui non paga, ha la tessera di ex dipendente UITE e conosce tutti i tranvieri. Mio nonno è famoso.

Mi arrampico sul sedile di legno che nonostante io sia cresciuto rimane sempre un trono e appiccico il naso al finestrino per guardare il mondo dall’alto. Il nonno mi dice di tenermi al sedile davanti, solite raccomandazioni, penso io, ma dopo la capocciata presa a causa di una frenata rivedo il mio giudizio e afferro senza indugio il corrimano.

Strani odori si alternano lungo il corridoio. Il signore col vestito grigio scuro che puzza di fumo acre, con le dita gialle di nicotina proprio all’altezza dei miei occhi, la signora enorme con la sporta della spesa, salita all’altezza del mercato, che mi solletica il naso con le foglie del sedano (fortuna che non ha comprato carciofi). C’è anche un dolce profumo di frutta, ma non la vedo: forse è finita sul fondo e si è ammaccata spandendo il succo e impregnando la carta di giornale in cui la immagino avvolta.

Passa anche un delizioso profumo di fiori, forse quello di una signora elegante che, chiedendo ripetutamente “permesso!” , si fa avanti perché si è accorta di dover scendere. Ora devo scendere io dal sedile per far posto “alla signora” come dice il nonno sempre galante, anche se “la signora” mi sembra tutt’altro che “una signora” perché sbuffa con aria impettita e non ringrazia neanche.

Quando sono in piedi nel mezzo del corridoio le cose si fanno più complicate perché il mondo, visto dall’altezza di circa un metro, non è lo stesso dei grandi e “i grandi” non si ricordano di come lo vedevano alla mia età. Mi trovo faccia a faccia con ombrelli bagnati, borse che mi sbattono qua e là e io divento un impedimento al passaggio della gente che, non vedendomi o facendo finta di nulla, passa oltre strattonandomi mentre io mi devo ancorare alle maniglie per non farmi travolgere.

Faccio anche incontri bizzarri con i cagnoloni con cui devo condividere sia la piattaforma posteriore sia le lamentele della gente. I più fortunati sono i cani piccoli che, tenuti in braccio dalle signore, godono di una posizione privilegiata dalla quale sono decaduto il giorno in cui sono cresciuto e non potevo più stare in braccio alla mamma perché “pesavo”.

Quando finalmente ci si avvia alla fine della corsa e quasi tutti i passeggeri sono scesi, riesco ad arrivare alla mia postazione preferita a fianco del conducente (manovratore lo chiamano). Io lo guardo affascinato mentre muove con perizia tutte quelle strane leve pensando che da grande mi sarebbe piaciuto fare quel mestiere, come faceva anche il mio bisnonno.

Visto che il nonno è un amico, i tranvieri ci fanno entrare con loro nella rimessa, con l’intenzione di andare a farsi “un bianco” al dopolavoro. Mai visto un posto più grande di quello, tutto a vetri anche nel tetto e travi di metallo e disseminato di buche “di ispezione” dove, dice il nonno, devo fare attenzione a non cadere (questo, anche se piccolo, lo avevo capito da solo).

Quando scendiamo dal tram io adocchio subito un filobus, uno di quelli lunghi, con “tre assi”. E’ fermo con le porte aperte che sono un invito per me. Una sbirciata al nonno mi fa capire che lui ha la testa rivolta agli amici e così in un attimo salgo su quel filobus enorme e deserto fiondandomi al posto di guida dove trovo un volante largo quasi quanto io sono alto. Non posso sedermi, così rimango col sedere appiccicato al sedile, le mani aggrappate al volante che muovo qua e là come se guidassi in uno slalom e i piedi sempre più vicini ai pedali.

Finalmente, allungandomi tutto, riesco a toccarne uno, ma non succede nulla (era il freno) ma non fa nulla perché mi sembra di manovrare come avevo visto fare “al conducente”. Poi, per caso o per calcolo, cambio pedale e ora si che qualcosa succede. Centro con una pedata il pedale dell’acceleratore e improvvisamente, con un muggito tipico dei motori elettrici che vengono  inondati di corrente, il filobus inizia a muoversi in avanti.

La cosa non è passata inosservata perché insieme al muggito del motore, altri muggiti (grida) si sono levati dal gruppo di ferrovieri lì vicino dal quale si è staccato il più vispo che correndo è salito sul mezzo e con mossa sicura lo ha bloccato prima che finisse contro qualcosa.

La mia avventura di conducente è finita dopo dieci metri di corsa con una ramanzina spettacolare di mio nonno e di tutti i ferrovieri che hanno assistito alla scena. La cosa mi è servita da lezione: mai partire se non si sa come fermarsi.

Scampato il pericolo, tutti hanno pensato bene di spostarsi a chiacchierare in un posto più sicuro (a bere un sorso di bianco) non immaginando quali cose posso fare io con una bottiglietta di Coca Cola in mano…

Lettera a Babbo Natale

 

Caro Babbo Natale, probabilmente non ti ricorderai di me visto che è passato quasi un anno e sarai stato catturato dalla frenesia del tuo lavoro, però, nonostante tutto, cercherò di riportarti alla mente quello che è successo e che mi ha reso protagonista di una storia che a pensarci ora mi mette ancora i brividi.

Tutto è successo intorno alla metà di dicembre dello scorso anno quando Cecilia, la gatta di casa, ritenendo di essere stata una gatta per bene per un anno intero, ha pensato di scriverti la classica letterina esprimendo i propri desideri. Essendo gatta di buona famiglia, immagino non abbia avanzato richieste esose rendendoti la vita impossibile ma solo piccole e semplici cose, tra le quali… Me.

Si, caro Babbo, io sono Tobia, il piccolo topo che hai scelto per accontentare i desideri di Cecilia e che hai proditoriamente prelevato dal suo mondo impedendogli di proseguire la sua placida esistenza di roditore per catapultarlo in una realtà da incubo.

Tutto è successo repentinamente una notte in cui stavo allegramente sgranocchiando qualcosa in dispensa. All’improvviso si è levato un turbine intorno a me e quando si è placato mi sono ritrovato nel tuo reparto imballaggio, pronto per essere impacchettato e spedito. Non sapevo che il cuore potesse battere così velocemente e gli occhi strabuzzare fuori dalle orbite in tal modo!

Gli elfi, senza un minimo di riguardo mi hanno inscatolato, fasciato, legato e applicato l’indirizzo di destinazione senza neanche mettere nella confezione qualcosa da sgranocchiare per il viaggio. La mia dignità di topo è stata calpestata senza ritegno.

Per fortuna il viaggio è durato poco e non ho patito il mal d’aria. Solo qualche brivido quando sono precipitato giù per il camino. Non ti dico la noia mortale e la fame sofferta durante l’attesa che scoccasse la mezzanotte. Ma finalmente è giunta e in uno strepito generale e uno sconquassamento causato dalla frenetica ricerca del pacchetto giusto sono stato a lungo sballottato finché la quiete è calata sotto l’albero. Io ero ancora nella scatola ma tutto intorno era ormai in silenzio.

Iniziavo già a disperare che mi avessero dimenticato quando all’improvviso i miei baffi hanno avvertito qualcosa di strano, quasi un pericolo incombente aleggiare intorno. Poi un colpo alla scatola, due, tre! Infine la luce si è fatta strada attraverso le fessure e l’ultimo colpo ha creato un varco sufficiente a farmi uscire. Finalmente!

Con aria circospetta metto il muso fuori dalla scatola e mi guardo intorno. Sembra tutto tranquillo.. quasi quasi esco… mi sgranchisco un po’ quando sento una voce che non dimenticherò mai:

“Checcariiiiinooooo”!!

Io divento all’istante una palla di pelo e un odore di paura si diffonde nella stanza, cerco velocemente un luogo dove nascondermi mentre il panico mi cattura. Cerco di rientrare nella scatola ma la fessura mi tradisce e riesco solo a mettere dentro il muso mentre il mio rotondo posteriore si dimena inutilmente all’esterno con le zampe posteriori  che annaspano l’aria.

Mi sento preso delicatamente per la coda, cosa che generalmente mi imbarazza non poco, e trasportato dondolante verso una cesta dove vengo adagiato. Qui cerco di riprendermi e darmi un tono ma la gatta non perde tempo e in un frastuono di fusa mi dice:

“Dai, giochiamo! Tu scappa che io ti prendo”!

Andiamo bene, mi sono detto, e ora cosa faccio? Mi sono messo a correre. E lei dietro…

Caro Babbo Natale, non voglio dilungarmi perché penso che ormai tu abbia capito chi sono e io non ho molto tempo per scriverti prima che Cecilia mi trovi nel nuovo nascondiglio che ho ideato. Dopo un anno passato con lei, ora ho io un desiderio da esprimere e so che se hai un cuore lo esaudirai.

Durante le mie fughe nei giorni scorsi, percorrendo a perdifiato il solito muraglione, ho trovato per la prima volta il cancello spalancato e d’istinto mi sono infilato nel cortile. Stranamente Cecilia non mi ha seguito e la cosa mi ha sorpreso finchè non ho letto il cartello che diceva: “Canile Comunale”.

Probabilmente la tua mente vulcanica avrà già capito dove voglio arrivare e ti assicuro, provo molta pena per il malcapitato che tu sceglierai, inscatolerai, fascerai, legherai e spedirai senza alcun riguardo all’indirizzo della mia amica gatta, però è proprio questo che ti chiedo come regalo di Natale. Un bel cagnolotto vispo e intraprendente che faccia fare a Cecilia la stessa vita che lei ha fatto fare a me per un anno intero.

Confidando che il mio desiderio sia esaudito, ti auguro buon lavoro e un felice anno. Io da Santo Stefano in poi, sarò un topo felice.

Con affetto, tuo

Tobia.