Etichetta

C’era una volta il 1972. Un negozio e un’etichetta hanno rappresentato, in ambito musicale, il passaggio all’età matura: Disco Club e Island Records. A nulla vale ricordare che l’etichetta era già in circolazione da parecchi anni, sotto la cui palma portava le incisioni di Bob Marley; tanto, è risaputo che io sia un grande scopritore di acqua calda.

Resta il fatto che quell’evento mi ha catapultato nel mondo dell’ascolto di musica di qualità, all’epoca definita musica POP, in contrapposizione alla “musica leggera” di quegli anni e, nel tempo rinominata da POP a Prog mentre la “musica leggera” veniva via via chiamata POP. Fortunatamente, di questa transizione non ho conservato alcun ricordo, forse dovuto allo sbiadito panorama musicale. (Lo so che sarò detestato per questa affermazione).

Resta il fatto che il passaggio dai 45 giri ai 33 costituì una sorta di iniziazione, la consapevolezza che la musica poteva avere un respiro che andasse oltre i tre minuti, ritornello compreso ma che potesse contenere una profondità di espressione pari al mondo classico.

Trilogy ha rappresentato l’inizio dei riti di ascolto su impianti “stereo” come si diceva un tempo o, “hi-fi” come ormai vengono chiamati. Riti che comprendevano copertine di album aperte con cautela, buste fruscianti dense di testi e storie, un nuovo modello di manipolazione per non toccare i solchi con le dita e una cura dell’oggetto tale che le nostre madri avrebbero voluto avessimo dedicato alla nostra stanza.

Abbiamo imparato la delicatezza depositando con grazia la puntina sul piatto (guai a chiamarlo giradischi!) fino a sentire il “TUMP!” prodotto incontrando nel silenzio il primo solco. E abbiamo imparato a capire una complessità fatta di armonie, dissonanze e storie. Fortunatamente, la storia continua.

La bicicletta

Questa mattina mi sono svegliato improvvisamente, ricordando un sogno vivido appena fatto. Ero in bicicletta ai margini del bosco, lungo un sentiero che portava verso casa. A un tratto, gli amici mi chiamano dal prato che sto costeggiando e mi invitano a giocare a pallone. Un invito che, per un ragazzo ormai grande di ben 7 anni è irresistibile.

Abbandono il mezzo meccanico, corro nel prato e dimentico il tempo finché la Nonna non me lo ricorda con minacce molto precise riguardanti la mia cena. Lascio di corsa gli amici, mi fiondo nella casa a due passi dal prato e, trafelato, sorrido alla Nonna con aria innocente.

Ecco. Questa mattina mi sono ricordato dove avevo lasciato la bicicletta.

Radio Caroline

La notizia di oggi è una di quelle che mette il buon umore e ci fa capire che, a volte le forze del bene vincono le partite. La storia inizia nel 1964 su una decrepita nave danese sulle note di Not Fade Away dei Rolling Stones, dando vita a Caroline Radio, una delle prime radio pirata dell’epoca.

Le trasmissioni avvenivano galleggiando al limite delle acque territoriali britanniche e sconvolsero la tranquilla (e noiosa) quotidianità della BBC trasmettendo giorno e notte musica rock inondando la terra d’Albione con le musiche degli allora “emergenti” Beatles, Moody Blues, Who, Rolling Stones, Yardbirds e Kinks.

Il successo fu immediato e quasi pari di quello ottenuto dalla mitica Radio Luxembourg. La qualità audio era decisamente scarsa, niente stereo, scariche elettriche qua e la, in una modulazione di ampiezza che solo gli ascoltatori stagionati ricordano cosa fosse.

Oggi, dopo cinquant’anni, il governo di Sua Maestà ha concesso a Radio Caroline la licenza di trasmettere in alcune limitate contee, dando segno di grande apertura mentale e capacità di mantenersi al passo con i mutati tempi. Naturalmente, i signori imparruccati, non si sono minimamente accorti che, nel frattempo, Radio Caroline trasmette in streaming internet e che la vecchia nave è solo un romantico luogo che qualche anno fa ha ispirato il film “I love Radio Rock”.

Quando si dice “La flemma britannica”!