La Storia

La Storia non si era ancora resa conto di essere iniziata da un po’ e solo quando sentì un imbarazzato tramestio in sala si accorse che tutti attendevano che succedesse qualcosa. Sul palcoscenico gli attori sembravano muoversi con disinvoltura ma facendo attenzione si avvertiva in loro un senso di disagio.

Solo la loro esperienza li portava a proseguire sulla scena mentre la trama, inizialmente chiara e ripetuta in infinite rappresentazioni, si faceva via via più evanescente mentre la Storia veniva colta dal dubbio. Troppe volte era stata raccontata con vividezza di particolari e questa infinita ripetizione le aveva dato prima corpo e poi anima e poi consapevolezza.

Infine la Storia prese coscienza di sé e decise di stabilire il proprio destino rifiutando quello che un vecchio autore le aveva riservato attingendo alla sua fantasia. Lei guardò allora gli attori spaesati e li fece sedere come meglio potevano, rivolti verso la platea, fugando in loro ogni incertezza e disegnando sui loro volti un’ombra di curiosità e attesa.

Le luci della sala, precedentemente rivolte verso il palcoscenico, si spostarono così in platea illuminando la nuova scena fatta di innumerevoli piccole grandi Storie riunite ordinatamente in file gremite. A mano a mano che la luce illuminava uno spettatore, quello si alzava e con voce resa flebile dalla mancanza di esperienza teatrale, pronunciava d’istinto un pensiero, una propria speranza. La luce intensa gli colpiva gli occhi e gli impediva di vedere chi avesse vicino; solo gli attori sul palco, ora divenuti spettatori, potevano essere scorti ed era a loro che la voce si rivolgeva.

La Storia iniziò a nutrirsi di questi pensieri e crebbe, si divertì, pianse, rise, si emozionò e si sorprese per gli accostamenti inconsueti di quei pensieri che si accavallavano. Alla fine riconobbe il proprio futuro e ritornò a guardare verso il palcoscenico dove gli attori indossarono nuovi personaggi e in platea ognuno poté riconoscere in loro una parte di sé.

Mangiare o non mangiare

MangiareMangiare, o non mangiare, questo è il problema:
se sia più nobile nella mente soffrire
colpi di forchetta e spiedi d’atroce cottura
o prender posate contro un mare di portate
e, opponendosi, por loro fine? Assaggiare, gustare…
nient’altro, e con un desio dire che poniamo fine
al dolor del ventre e ai mille tumulti naturali
di cui è erede la carne: è una conclusione
da desiderarsi devotamente. Morire, dormire.
Dormire, forse sognar le tavole. Sì, qui è l’ostacolo,
perché in quel sonno di bramosia quali tavole imbandite possano venire
dopo che ci siamo cavati di dosso questo groviglio di concupiscenza
Ciò deve farci riflettere. E degustare.

 

Fermata d’autobus

Fermata autobusCherie lo incontrò al termine del suo spettacolo, un tipo interessante, spavaldo, sicuramente rude ma con un sorriso che fa sparire ogni cosa nella stanza. Quando le si avvicinò, lei gli chiese: “Ehi, come ti chiami?” (non si capisce perché la domanda dovesse essere preceduta da “ehi” ma così fu e concediamo a lei, bella come il sole al tramonto, un momento di imbarazzo lessicale).

Lui, cotto come una pera dai modi sinuosi e provocanti di lei, rispose: “Bo”. Questo lasciò lei in evidente stato di perplessità, domandandosi per quale bizzarro caso della vita una persona non fosse a conoscenza del proprio nome; ci pensò su e quello che immaginò non le piacque. Allora scappò prendendo il primo autobus a caso, diretto chissà dove ma, nella speranza, lontano da quel personaggio alla ricerca di sé e della propria identità.

A nulla valse la corsa che fece perché lui, con due passi la raggiunse e salì a bordo proprio nell’istante in cui il mezzo partì. La storia poi narra di un sereno chiarimento tra i due ma ricorda, all’inizio, il dialogo tra Ulisse e Polifemo quando questi chiese a Ulisse: “Come ti chiami?” (all’epoca non si diceva “ehi”) che rispose: “Nessuno”.

Ecco: Cherie, per fortuna, non fu costretta a rispondere alla domanda dell’autista: “Chi ti sta inseguendo?” con un “Bo”.