Odisseo

Musa, quell’uom di multiforme ingegno
Dimmi, che molto errò, poiché ebbe a terra
Gittate d’Ilion le sacre torri…

Se la Musa sapesse come sono andate veramente le cose in quel giorno! Io mi trovavo colà fuori le mura per un delizioso pic-nic di primavera  in compagnia di Achille quando un curioso personaggio in divisa si dirige verso di noi. Quando è a due passi si presenta come Ettore, un sedicente vigile urbano di Ilio e in veste ufficiale ci dice che abbiamo parcheggiato il cavallo in divieto di sosta.

Io, per mia natura, inizio a pensare alla soluzione perché in effetti un cavallo in doppia fila è un tantino ingombrante e cerco le chiavi delle briglie per spostarlo; Achille, più sanguigno, invece si inalbera e contesta al vigile di poter lasciare il cavallo dove vuole e che lui fuori della città non ha alcuna autorità.

Capisco che Achille, bello come fosse Brad Pitt si è forse montato la testa, ma le tecniche usate con le sue vittime femminili poco si addicono ai rapporti con le forze dell’ordine locali. Ne nasce così un diverbio che a poco a poco coinvolge anche quel pirla di Patroclo, collega di Ettore, arrivato scodinzolante a dare man forte.

In breve, Patroclo ha la peggio e si ritrova a fare lo spiedino sul nostro barbecue. La cosa indispettisce non poco Ettore che a questo punto, oltre al divieto di sosta e bollo di circolazione equino scaduto, ci contesta anche il reato di infilzamento proditorio anche se con l’attenuante specifica di aver tolto di mezzo un tipo come Patroclo.

Achille però è ormai lanciato e per far vedere che fa sul serio, raccoglie la prima pietra che trova alla base delle mura per minacciare Ettore. Tutto si svolge in un attimo. La pietra raccolta serviva a sostenere una parte del muro che ora frana vergognosamente travolgendo anche un parte di un’abitazione.

Da questa esce Andromaca leggermente adirata; lei, vedendo il marito con noi, capisce la causa del trambusto e lo guarda con un’espressione sconsolata e dice:

“Ragazzi, dovreste vedervela tra di voi lontano da qua! Avete visto che cosa siete capaci di combinare se vi si lascia soli un momento?”

Ettore, ormai fuori di sé per la furia e la vergogna di essere stato brontolato dalla moglie di fronte ad estranei, si scaglia contro Achille che a questo punto telefona ai suoi amici Achei per invitarli, visto che il vigile ha intanto radunato i suoi.

Io nel frattempo mi occupo del cavallo che porto al riparo dentro le mura e dico ad Achille:

“Io con queste tue manie di attaccar briga con chiunque non voglio aver niente a che fare. Ti lascio il cavallo e torno a casa in barca.”

Lui prende le briglie e mi dice:

“Guarda che a quest’ora tornare a casa sarà un’ odissea col traffico del rientro!”

Naturalmente non gli do retta e quello che è avvenuto in seguito è ormai storia.

Il bicchiere di cristallo

Il bicchiere quasi stenta a ricordare le sue antiche origini. Sarà l’età o i continui lavaggi con sostanze che non esistevano ancora alla sua nascita o le mille avventure vissute attraverso il suo secolo di vita. Ora se ne sta quietamente riposto in una credenza da cucina, una sistemazione poco nobile se si pensa ai fasti cui era abituato da giovane.

Lui e i suoi fratelli provenivano da una delle migliori cristallerie di Francia, forse dalle Cristallerie Reali della Champagne, forse da Baccarat ma l’origine non era importante quanto la famiglia nella quale lui e i suoi gemelli hanno iniziato una sfavillante e tintinnante carriera.

Ricorda ancora il primo incontro da brivido con le bollicine fresche e il tocco delicato delle labbra della ragazza cui era toccato in sorte. Da giovane si divertiva con i fratelli emettendo suoni felici ad ogni incontro e riflettendo la propria allegria insieme alle luci della sala.

Poi, col tempo e la maturità, iniziarono i momenti meno fastosi, poco per volta i fratelli scomparvero  alla sua vista, le occasioni mondane cui era invitato si fecero meno frequenti e per lui, passato indenne attraverso un turbine di vita, iniziò un periodo quieto, animato solo dalle poche feste tradizionali.

Un brivido lo percorre ancora oggi al ricordo di un ragazzino, al quale avevano insegnato a far suonare i bicchieri, che lo aveva quasi frantumato cercando di estrarne un suono. Alla fine, unico rimasto della sua famiglia, finì insieme ad altri vetri plebei scompagnati in un angolo della cucina da dove uscì per ritrovarsi un giorno esposto su una bancarella di oggetti vecchi che nessuno voleva più.

Il suo destino sembrava ormai segnato e già si vedeva sballottato da una fiera all’altra, esposto senza cura né riguardo su vecchie assi di legno. Un giorno però un signore dall’aria sognante incontrò un suo luccichio e incuriosito si avvicinò per osservare meglio quella fonte di luce inattesa.

Allungò una mano e lo prese. Dopo un tempo che neanche lui riusciva a ricordare, il bicchiere provò il tocco di una persona gentile che lo sapeva apprezzare e non si vergognò di apparire così dimesso e impolverato perché negli occhi di quella persona vedeva accendersi una luce particolare.

Il signore, un vecchio cuoco, rimase un momento sopra pensiero, stupito di vedere un oggetto di cristallo così raffinato in mezzo a tanto ciarpame e lo guardò con gli occhi resi competenti da una vita a contatto con le cose belle.

Fu cosa di un momento, il bicchiere incartato frettolosamente da un commerciante che mai ne ha conosciuto il pregio finì nelle mani del signore che lo ripose delicatamente nella borsa. Insieme arrivarono a casa dove il cristallo, dopo un delicato ma approfondito lavaggio, per far bella figura iniziò a brillare come mai aveva fatto.

Sempre giocando con la luce osservò il vecchio mentre impastava una sfoglia sottile e profumata di uova, lo vide stenderla con una cura e un’abilità che rasenta la danza, annusando la terrina contenente un ripieno fragrante.

Improvvisamente il cuoco prese il bicchiere, lo rovesciò e, tenendolo per il gambo sottile, iniziò ad incidere la pasta con gesto sicuro e delicato ricavandone piccoli dischi che, una volta accolto il pizzico di ripieno, con un gesto meraviglioso del vecchio cuoco diventarono cappelletti.

Il bicchiere si stupì, frastornato e quasi indignato per questo uso improprio cui era stato forzato e, come tutti i bicchieri di cristallo dal carattere permaloso e suscettibile, iniziò a pensare di aver toccato il fondo della propria esistenza.

Sempre adombrato da questi pensieri non si accorse di essere nuovamente preso in mano e si risvegliò solo quando sentì scorrere tutto intorno un getto di acqua tiepida e il profumo del detersivo che lo lava dalle piccole tracce di pasta e di farina. L’umore cambiò poi quando venne asciugato in un morbido lino e posto dignitosamente in piedi sul tavolo.

D’un tratto un colpo secco, un suono familiare, lo sorprese e un getto fresco e spumeggiante lo inondò riportandolo all’infanzia e ai ricordi dei mille pizzicorini che le bollicine gli procuravano salendo in superficie. Si stupì e non si seppe spiegare la nuova situazione se non dopo aver ascoltato le parole del vecchio cuoco che, dopo un lungo sorso, gli aprono la mente:

“Tu ed io faremo grandi cose insieme”.

Il vecchio bicchiere ha trovato una nuova casa, forse meno fastosa ma sicuramente accogliente e sa di essere apprezzato anche se ora la sua dote più ricercata è quella di avere un diametro come quello che Pellegrino Artusi suggeriva nel suo libro di ricette. Chissà che il grande cuoco abbia fatto la conoscenza di qualche suo fratello.

La Storia

La Storia non si era ancora resa conto di essere iniziata da un po’ e solo quando sentì un imbarazzato tramestio in sala si accorse che tutti attendevano che succedesse qualcosa. Sul palcoscenico gli attori sembravano muoversi con disinvoltura ma facendo attenzione si avvertiva in loro un senso di disagio.

Solo la loro esperienza li portava a proseguire sulla scena mentre la trama, inizialmente chiara e ripetuta in infinite rappresentazioni, si faceva via via più evanescente mentre la Storia veniva colta dal dubbio. Troppe volte era stata raccontata con vividezza di particolari e questa infinita ripetizione le aveva dato prima corpo e poi anima e poi consapevolezza.

Infine la Storia prese coscienza di sé e decise di stabilire il proprio destino rifiutando quello che un vecchio autore le aveva riservato attingendo alla sua fantasia. Lei guardò allora gli attori spaesati e li fece sedere come meglio potevano, rivolti verso la platea, fugando in loro ogni incertezza e disegnando sui loro volti un’ombra di curiosità e attesa.

Le luci della sala, precedentemente rivolte verso il palcoscenico, si spostarono così in platea illuminando la nuova scena fatta di innumerevoli piccole grandi Storie riunite ordinatamente in file gremite. A mano a mano che la luce illuminava uno spettatore, quello si alzava e con voce resa flebile dalla mancanza di esperienza teatrale, pronunciava d’istinto un pensiero, una propria speranza. La luce intensa gli colpiva gli occhi e gli impediva di vedere chi avesse vicino; solo gli attori sul palco, ora divenuti spettatori, potevano essere scorti ed era a loro che la voce si rivolgeva.

La Storia iniziò a nutrirsi di questi pensieri e crebbe, si divertì, pianse, rise, si emozionò e si sorprese per gli accostamenti inconsueti di quei pensieri che si accavallavano. Alla fine riconobbe il proprio futuro e ritornò a guardare verso il palcoscenico dove gli attori indossarono nuovi personaggi e in platea ognuno poté riconoscere in loro una parte di sé.