La prima chitarra

La prima chitarra. Legni tenuti insieme nonostante tutto congiuri contro di loro dal 1954; si, lei è nata prima di me ma ci siamo conosciuti nel ’70 quando il cugino musicista me l’ha data insieme a un foglio con scarabocchiato il giro di do. Al termine di quel giro mi sono sentito un musicista affermato e non mi ha fermato più nessuno, a parte il dolore alle dita prima che si formassero i calli nei punti giusti e le figuracce provando i primi barrè. E vennero i campeggi e la navigazione sui torrenti di montagna, la luna e i falò. E poi, le discese ardite e le risalite, le locomotive truccate con rimmel, mi sono perso raccogliendo violette e cercando dollari d’argento sul fondo del Sand Creek. E il suono del silenzio e il lato oscuro della luna mi hanno infine catturato. Ora è così, salvata dal dimenticatoio e presa in mano come una volta i pellerossa impugnavano le pagaie. Non suona più, ha corde stanche e geometrie squinternate ma quei legni hanno un’anima e non li abbandonerò.

Momenti di gloria

Mi è capitata tra le mani questa foto scattata tempo fa in occasione di un incontro genovese con il tenore Armiliato, mio compagno di liceo, tenuto presso la libreria Feltrinelli. Al di là del piacevole incontro personale, mi riporta alla mente quel pomeriggio in cui un certo numero di persone erano riunite nella sala dedicata agli incontri con autori o artisti. Quando sono arrivato, ho notato che la sala era quasi piena ma che alcuni posti erano ancora disponibili dalla parte opposta all’entrata.

L’incontro avrebbe dovuto essere presentato da un direttore d’orchestra e da un altro personaggio di cui non ricordo il ruolo, probabilmente uno scrittore appassionato di lirica. Ebbene, quando penso sia arrivato il momento di prendere posto, mi sono inoltrato nella sala con aria sicura, un lieve sorriso accennato e un plateale disinteresse per chiunque sia presente, puntando solo la poltroncina che avevo eletto come mio trono.

Faccio un passo e cala il silenzio. Faccio un secondo passo e inizia uno brusio in sala. Al terzo passo iniziano gli applausi di benvenuto e quasi tutti i presenti mi fissano con ammirazione manifestando il loro apprezzamento. Io continuo con i miei passi, visto che mi sono venuti bene e, invece di raggiungere il palchetto, mi dirigo verso l’agognata poltroncina.

Mi sono seduto e solo in quel momento mi sono guardato in giro e ho visto persone dall’aria smarrita che cercavano di riprendere un contegno guardando ovunque tranne che verso di me, fuggendo da una cantonata clamorosa in cui avevano scambiato me per chissà quale personaggio.

La gloria è durata poco ma me la sono goduta tutta. Fabio (Armiliato) è arrivato subito dopo trafelato perché, avendo sentito gli applausi, pensava di essere in ritardo all’appuntamento ma l’ho tranquillizzato: non gli avrei più rubato la scena.

Io, Flavio e il Cioccorì

I viaggi nel tempo esistono. Ne ho avuto la conferma una sera a teatro, ascoltando i racconti di Flavio che parlavano di un De Andrè inedito. O forse no, forse in cuor nostro, da genovesi, lo abbiamo sempre sentito così e il racconto è solo servito a farci immaginare meglio scene che sapevamo appartenerci. E’ stato un susseguirci emozionante di racconti parlati e musicati, merito anche degli arrangiamenti di un Vittorio che con aria sorniona metteva l’anima nella chitarra.

Ho ascoltato il contastorie con un pizzico di invidia e riconoscenza per aver saputo catturare momenti di vita del cantastorie e condividerli con noi in sala, in uno spettacolo che avrebbe potuto continuare all’infinito senza annoiare e svelare nuove storie da raccontare a chi non c’era.

Flavio2