Coney Island

Coney IslandForse uno dei luoghi in cui si possono fare gli incontri con i personaggi più bizzarri è Coney Island. Me ne sono reso conto un giorno d’estate in cui per spezzare la quotidianità ho preso la linea D della metropolitana da Midtown e, dopo aver attraversato Brooklyn in superficie, sono arrivato al capolinea di fronte al mare.

Oltrepassato Nathan’s, storico locale di hotdogs e sede dell’annuale contest che riunisce i più accaniti divoratori del Paese in grado di trangugiare in tempo record oltre 60 panini, arrivo sulla lunga passeggiata a ridosso della spiaggia affacciata sull’oceano.

Coney IslandPercorrendo l’impalcato in legno lungo chilometri, nelle vicinanze del vecchio luna park dallo stile un po’ retrò, si incontrano numerose baracche contenenti varie attrazioni. Una di queste consiste in un tiro a segno “umano” in cui lo scopo è quello di sparare proiettili di vernice contro un disgraziato che saltella in un cortile rendendo difficile la vita a coloro che dovrebbero colpirlo.

 

Sia la preda sia il cacciatore appartengono ad una fauna pittoresca che vale la pena osservare per stile ed eleganza.Coney Island

 

Coney Island

 

 

Non possono mancare gli immancabili abitanti  della strada dediti a collezionare gli oggetti più strani raccogliendoli in sacchi della spazzatura, o arzilli vecchietti con abiti sgargianti che solo lì riescono ad essere in sintonia col mondo.Coney Island

Coney Island

In America tutto è grande e anche molti dei suoi abitanti, in un tale ambiente libero, ostentano le proprie dimensioni con naturalezza, spesso dediti ad incrementare le proprie misure tracannando beveroni spaventosi camminando allegramente per strada.

Coney IslandLa spiaggia poi catalizza altre figure, a partire dallo sferico personaggio di ragguardevoli dimensioni seduto ad uno degli accessi e che, provvisto di tubo di gomma collegato ad un idrante, annaffia a richiesta le gambe e i piedi di coloro che escono dalla spiaggia in modo da liberarli dalla sabbia.

Coney IslandPer non parlare poi dei guardaspiaggia dall’impeccabile divisa arancione portata con disinvoltura e da strani personaggi che passeggiano lungo la battigia provvisti di metal-detector e cuffie per rilevare tesori sommersi.

Tutti alla fine, quando scatta l’ora di pranzo, si riuniscono in coda di fronte ai banchi di Nathan’s come in un rito collettivo, incuranti della propria originalità, in un variopinto ed incredibile serraglio di umanità affamata. Io mi mescolo a loro attratto dai profumi della cucina all’aperto che sforna i migliori hotdogs della zona.

Sicuramente frequentando Manhattan per un po’ si ha modo di imbattersi in una pletora di etnie ed incroci tali da definire New York sicuramente multietnica, ma Coney Island racchiude in se un’originalità di frequentatori che vale sicuramente la pena conoscere.

La luna bussò

 

La Luna bussò alle porte del buio. Rispose Venere che, scendendo dal letto in pigiama, diede una pedata al comodino vedendo le stelle. Vide la Luna e subito le andò di traverso. Le due si guardarono attraverso il tempo per un attimo cosmico e Venere disse: “Non abbiamo bisogno di nulla!” e se ne andò altera, bella come una dea assonnata.

Allora la Luna bussò nel sogno di un passante. Rispose il bambino che era in lui e gli occhi pieni di meraviglia la fecero innamorare. Divenne piena anche al primo quarto e illuminò la strada del viandante.
E poi…

e poi il viandante versò una lacrima: mai la Luna gli era stata gentile, ma quella sera lei vide in lui l’oscurità, e gli donò la luce.

Nel tempo si accorse che la luce era già in lui e la Luna fece solo la magia di fargliela scoprire.

Così il viandante sigillò la luce nel suo cuore come un gioiello nello scrigno: gli avrebbe tenuto compagnia durante il cammino.

E il bambino, la donna, il vecchio e tutte le parti della sua anima si risvegliarono nella luce. Tutte insieme iniziarono a parlarsi, a dirsi le cose che erano finite infrattate nei recessi più scuri della mente. Fu uno scoppio di serenità. Alcuni la chiamano illuminazione.

E come pezzi di specchio infranto, l’anima si ricompose, riflettendo per sempre la sua gioia, pur non nascondendo le ombre: perché, si sa, la Luna conosce ogni segreto e sa sempre come indicare il cammino.

Cappelletti in brodo

Cappelletti in brodoQuando in casa si preparavano i cappelletti significava che si avvicinava la festa. Ormai associo a questo nome strambo un rito antico che si svolgeva in enormi cucine tra madie e tavoli di marmo dei quali superavo a stento l’altezza, ma abbastanza per osservare in volo radente la sfoglia che diventava cappelletto con un gesto elegante e allora misterioso.

Ora quando li preparo mi vengono in mente quei gesti e quasi ricordo mia nonna cantare sotto voce mentre si dedicava alla sua arte. Chissà, forse l’ingrediente segreto è l’allegria di chi cucina. Prendo 3 etti di petto di cappone, li pulisco e taglio in piccoli pezzi  per farli cuocere in padella con olio e poco sale e una volta pronti li metto nel mixer insieme a 2 etti e mezzo di prosciutto crudo.

Aggiungo quindi un cucchiaio da cucina di parmigiano reggiano, una spolverata di noce moscata, un uovo e “una punta” di sale. Parte così la preparazione del ripieno che diventa morbido e omogeneo.

A questo punto la sfoglia. L’impasto è quello solito, fatto con 5 uova e 5 etti di farina. Stendo la sfoglia e mi procuro un bicchiere dal bordo sottile con cui inciderla per ricavare i tondini di pasta. Ricordo quello che ho letto sul libro di Pellegrino Artusi. Dice che il diametro deve essere di 67 millimetri. Il mio bicchiere di 5 centimetri si è rivelato comunque all’altezza della situazione.

Con la punta di un cucchiaino prendo un po’ di ripieno e lo posiziono nel centro del dischetto che, dopo averlo piegato a metà, avvolgo attorno al dito mignolo per darli la forma giusta. Occorre pazienza, ma il risultato ripaga del lavoro certosino.

Il brodo, fatto con carne e petto di pollo, crea l’ambiente adatto per la cottura ed esalta la fragranza della pasta e del ripieno.

In tavola, il piatto caldo è accompagnato dal vino. Questa volta, un ardito abbinamento con uno Chablis.