Istanbul

IstanbulLo so, a certe cose non si pensa ma poi succede che te le trovi davanti che ti chiamano per nome e devi ammettere che anche tu non sfuggi alle varie tappe della vita. Una di queste si è accorta di me un giorno a Istanbul quando ero serenamente indaffarato alla ricerca di un autobus che mi portasse fuori città. La cosa potrebbe sembrare elementare ma intorno al ponte Galata non si può mai dire e si fa presto a dire: “Chiedi a un autista”,  ti metti a cercare qualcuno che corrisponda allo stereotipo dell’autista, aria scocciata e annoiata, atteggiamento distaccato di superiorità esistenziale e cronico odio verso la categoria dei “passeggeri” ma la ricerca risulta vana e ti accorgi alla fine che gli autobus vengono guidati da persone senza divisa, indistinguibili da qualunque altro soggetto locale.

Forse per riconoscersi si annusano a vicenda. Alla fine, incoraggiato da un personaggio in canottiera e barba incolta, salgo su un ravatto tremante (la corriera)  dopo aver fatto il biglietto, cosa consistente nell’aver pagato un passante senza aver ottenuto un biglietto di carta a riprova del pagamento e aver ottenuto da costui il permesso di salire a bordo con un grugnito di circostanza e un gesto inequivocabile con la testa indicante il bus.

Salgo a bordo con aria ancora incredula e mi guardo intorno sempre con la stessa aria perché quando assumo un’espressione poi mi ci affeziono e la porto un po’ con me. Mi avvio nel corridoio centrale tra facce indifferenti quando noto, verso il fondo, un signore che, sorridendo, mi fa il gesto con la mano di raggiungerlo. A differenza delle altre persone, questo sorride e mi indica un posto vicino a sé, velocemente liberato dalla presenza di un ragazzino con la stessa aria smarrita che probabilmente avevo io; solo che, a differenza di me, lui aveva i capelli arruffati e due occhi nei quali si era dipinta la consapevolezza di aver fatto una buona azione lasciando il proprio posto al “signore” in evidente stato di prostrazione.

Ringrazio il “nonno” per la sua attenzione (probabilmente ha visto in me un altro sé) e il ragazzino per avermi lasciato il posto del finestrino, luogo ambitissimo da tutti i ragazzini del mondo. Mi tolgo lo zaino, mi strozzo con la tracolla della macchina fotografica e mi insinuo nel loculo conquistato, pensando che per la prima volta qualcuno si è alzato per lasciarmi il post a sedere. Capisco che è iniziata una nuova era.

 

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